Che venga chiamata “fase 2” “fase 3” “fase della ripartenza” ha poca importanza, il punto è che da settimane ormai aumenta di giorno in giorno la libertà di riprendere a fare cose che per mesi sono state vietate e che temevamo di non poter fare più.

Nonostante l’imbarazzante disinteresse dimostrato per mesi nei confronti dei bambini, finalmente si sono fatti dei passi in avanti anche per la riapertura di alcune strutture ricreative per sollevare le famiglie almeno in questo periodo estivo. Ciò non toglie, tuttavia, che questa emergenza Coronavirus abbia inevitabilmente portato conseguenze nei bambini. Quali sono? Come sta avvenendo la lenta ripresa di questa nuova routine che li, e ci, accompagnerà per un tempo ancora una volta indefinito?

La capacità di adattamento di tutte le famiglie italiane è stata messa a dura prova: si è puntato tutto sulla resilienza della “famiglia nucleare”, soprattutto perché il lockdown ha, di fatto, come sottolineato dalla psicanalista Costanza Jersum, “impedito di attingere a delle risorse per fronteggiare i consueti problemi”, portando al manifestarsi di disturbi e di difficoltà che prima venivano gestiti dalle routine e dalle relazioni sociali.

Sebbene sia ormai assodato come i bambini siano meno soggetti alla probabilità di contrarre un’infezione da Covid-19 con conseguenze cliniche rilevanti il loro benessere emotivo è stato fortemente minato dall’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro paese.

Da un interessante studio condotto dall’istituto Giannina Gaslini di Genova, che ha visto coinvolta una popolazione di 3.251 soggetti con figli a carico minori di 18 anni, è emerso come nel 65% dei bambini di età inferiore a 6 anni e nel 71% di bambini e ragazzi con età compresa tra i 6 e i 18 anni i genitori abbiano rilevato problematiche comportamentali e sintomi di regressione. Le percentuali sono altissime e che nessuno ne parli è, ancora una volta, a mio avviso, molto grave.

Nei due grafici che vedete di seguito si possono vedere quali sono state le principali sintomatologie lamentate dai bambini minori o maggiori di 6 anni.

“Impatto psicologico e comportamentale sui bambini delle famiglie in Italia” Istituto Giannini Gaslini e Università degli Studi di Genova

Alla luce di questi dati è importante capire come il ritorno alla “normalità” non possa essere fatto con un semplice schiocco di dita. Adesso i centri estivi sono aperti (non ovunque e non per tutti quelli ne avrebbero bisogno, peraltro) ma i genitori, indipendente dall’età del bambino devono salutarlo in fretta, al di fuori della struttura e possibilmente senza lasciarli nessun oggetto rassicuratore portato da casa perché potenzialmente infetto. Un bambino che ha vissuto a stretto contatto con i suoi genitori per mesi, che è stato privato di qualsiasi forma di socialità, che ha visto le sue maestre, forse, solo da dietro uno schermo in un ambiente che non conosceva, che ha, molto probabilmente, modificato completamente i suoi ritmi sonno veglia, può essere pronto dall’oggi al domani a tornare in una comunità dove magari nemmeno conosce i suoi compagni o la maestra? Certo, magari qualcuno si ma qualcun’altro probabilmente no, e potrebbe avere reazioni che non ci si aspetta “proprio da lui” ma che bisogna essere in grado di accogliere con la giusta comprensione e competenza per permettere al bambino e alla sua famiglia di riappropriarsi di un suo diritto fondamentale: l’educazione… e non la didattica!

E dopo mesi di arcobaleni che hanno dipinto le nostre città e la scritta “andrà tutto bene!” mi sento in dovere di chiederlo a loro, ai bambini, ai ragazzi: è andato tutto bene? Sta andando tutto bene?

Che venga chiamata “fase 2” “fase 3” “fase della ripartenza” ha poca importanza, il punto è che da settimane ormai aumenta di giorno in giorno la libertà di riprendere a fare cose che per mesi sono state vietate e che temevamo di non poter fare più.

Nonostante l’imbarazzante disinteresse dimostrato per mesi nei confronti dei bambini, finalmente si sono fatti dei passi in avanti anche per la riapertura di alcune strutture ricreative per sollevare le famiglie almeno in questo periodo estivo. Ciò non toglie, tuttavia, che questa emergenza Coronavirus abbia inevitabilmente portato conseguenze nei bambini. Quali sono? Come sta avvenendo la lenta ripresa di questa nuova routine che li, e ci, accompagnerà per un tempo ancora una volta indefinito?

La capacità di adattamento di tutte le famiglie italiane è stata messa a dura prova: si è puntato tutto sulla resilienza della “famiglia nucleare”, soprattutto perché il lockdown ha, di fatto, come sottolineato dalla psicanalista Costanza Jersum, “impedito di attingere a delle risorse per fronteggiare i consueti problemi”, portando al manifestarsi di disturbi e di difficoltà che prima venivano gestiti dalle routine e dalle relazioni sociali.

Sebbene sia ormai assodato come i bambini siano meno soggetti alla probabilità di contrarre un’infezione da Covid-19 con conseguenze cliniche rilevanti il loro benessere emotivo è stato fortemente minato dall’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro paese.

Da un interessante studio condotto dall’istituto Giannina Gaslini di Genova, che ha visto coinvolta una popolazione di 3.251 soggetti con figli a carico minori di 18 anni, è emerso come nel 65% dei bambini di età inferiore a 6 anni e nel 71% di bambini e ragazzi con età compresa tra i 6 e i 18 anni i genitori abbiano rilevato problematiche comportamentali e sintomi di regressione. Le percentuali sono altissime e che nessuno ne parli è, ancora una volta, a mio avviso, molto grave.

Nei due grafici che vedete di seguito si possono vedere quali sono state le principali sintomatologie lamentate dai bambini minori o maggiori di 6 anni.

“Impatto psicologico e comportamentale sui bambini delle famiglie in Italia” Istituto Giannini Gaslini e Università degli Studi di Genova

Alla luce di questi dati è importante capire come il ritorno alla “normalità” non possa essere fatto con un semplice schiocco di dita. Adesso i centri estivi sono aperti (non ovunque e non per tutti quelli ne avrebbero bisogno, peraltro) ma i genitori, indipendente dall’età del bambino devono salutarlo in fretta, al di fuori della struttura e possibilmente senza lasciarli nessun oggetto rassicuratore portato da casa perché potenzialmente infetto. Un bambino che ha vissuto a stretto contatto con i suoi genitori per mesi, che è stato privato di qualsiasi forma di socialità, che ha visto le sue maestre, forse, solo da dietro uno schermo in un ambiente che non conosceva, che ha, molto probabilmente, modificato completamente i suoi ritmi sonno veglia, può essere pronto dall’oggi al domani a tornare in una comunità dove magari nemmeno conosce i suoi compagni o la maestra? Certo, magari qualcuno si ma qualcun’altro probabilmente no, e potrebbe avere reazioni che non ci si aspetta “proprio da lui” ma che bisogna essere in grado di accogliere con la giusta comprensione e competenza per permettere al bambino e alla sua famiglia di riappropriarsi di un suo diritto fondamentale: l’educazione… e non la didattica!

E dopo mesi di arcobaleni che hanno dipinto le nostre città e la scritta “andrà tutto bene!” mi sento in dovere di chiederlo a loro, ai bambini, ai ragazzi: è andato tutto bene? Sta andando tutto bene?